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Perchè i CAP-10 si spaccano in volo?

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PERCHÈ I CAP 10 SI SPACCANO IN VOLO?
Di Bertrand Hasler (Da "Pilote Privee", Dicembre 1979)

Il 7 luglio 1979 sul campo di Chateau Thierry un velivolo CAP 10 perdeva un'ala in volo e si schiantava dopo una caduta verticale di circa 700 metri senza che il pilota potesse salvarsi azionando il paracadute.

Questo grave evento fa già parte del passato e per questo la stampa aeronautica non ne ha ancora parlato.

I giorni passano, i mesi passano ed alcuni acrobati continuano ad ignorare questo dramma che tuttavia li interesa direttamente.

Vorrei riparlarne oggi non già per rivangare dei ricordi dolorosi, ma al contrario per fare un passo in più verso la sicurezza in materia di acrobazia aerea.

All'inizio del secolo in un'epoca in cui l'aviazione era essenzialmente empirica questo genere d'incidenti si verificava quotidianamente: i velivoli erano costruiti molto più intuitivamente che scientificamente, il volo era ancora un miracolo dove il rischio e la fatalità avevano troppo spesso da dire la loro.

L'esperienza e la scienza nel corso degli ultimi settanta anni sono riusciti a consentire il progetto e la realizzazione di velivoli affidabili dove l'imponderabile, che esiste e sempre esisterà, occupa una parte marginale.

Abbiamo dunque una grande fortuna noi piloti degli anni ottanta rispetto ai nostri antenati degli albori dell'aviazione: tuttavia bisogna che questa "fortuna materiale" si seguita da un pilotaggio cosciente, un pilotaggio con la testa e non da "fessi".

Indugiamo un poco su queste due nozioni che, come vedremo, condizionano largamete la sicurezza in acrobazia: prendiamo percio' due esempi molto caratteristici del modo di utilizzare due parametri importanti in acrobazia.

Il primo esempio riguarda la velocità del velivolo: noi sappiamo che essa varia da zero alla VNE e che è difficile definirla con precisione unicamente con le sensazioni (il buon vecchio metodo del rumore dell'aria, che era cosi' efficace con aeroplani lenti, non puo' qui applicarsi).

Abbiamo dunque bisogno di uno strumento per misurare questa velocità: uno strumento che bisogna leggere ed interpretare, essendo le reazioni del pilota fondamentalmente differenti alle basse velocità ed a quelle vicine al limite massimo.

Il secondo esempio riguarda l'accelerazione: quando questa viene percepita da un pilota, si traduce in uno sforzo legato più alla durata che al valore dellìaccelerazione stessa (è più faticoso sopportare 4g per 15 secondi che 8g per 2 secondi). Il pilota avrà dunque parecchie difficoltà a misurare questa accelerazione senza adeguati strumenti: avremo dunque bisogno di un accelerometro, che dovremo leggere ed interpretare a sua volta.

In effetti, quando il pilota sopporta 4g per 15 secondi, il velivolo, se è stato progettato per ë3g, è largamente all'interno del suo inviluppo e non ne soffre: per contro, lo stesso aereo utilizzato a +8g per 2 secondi, quindi fuori dai suoi limiti, diventa pericoloso.

Neil Williams, nel suo libro "Aerobatics", precisa che uno Zlin 526 utilizzato normalmente nel suo inviluppo di volo (ë3g) ha una vita prevista di circa 2200 ore: lo stesso velivolo, utilizzato a ó6g ha una vita di sole 100 ore.

In realtà, i parametri velocità ed accelerazione sono strettamente legati poichè quando si parla di valori limiti di carico per un velivolo (ad es. ë3g) questi non sono validi in tutto il campo delle velocità utilizzabili (da 0 alla VNE).

Bisognerebbe, a questo proposito, che il manuale di volo di ogni aereo acrobatico riportasse, alla voce "Limitazioni", il diagramma di manovra, cioè una curva completa dell'inviluppo di carico del velivolo.

Ci si potrebbe chiedere perchè nel 1979 i velivoli acrobatici si possano ancora rompere, nonostante la loro robustezza. La risposta è pressocchè evidente: un velivolo solido non è un velivolo indistruttibile, ed ha dei limiti ben precisi.

Credo di poter affermare che tutte le rotture in volo dei velivoli acrobatici recenti si siano prodotti a causa di un sistematico superamento dei limiti di carico in volo (forse non il giorno della rottura definitiva).

Questo significa in altre parole che un dato velivolo non potrà effettuare tutte le figure acrobatiche immaginabili nè partecipare a tutte le competizioni possibili.

Per parlare concretamente, alcuni CAP-10 hanno partecipato a competizioni di livello superiore alle loro possibilità ed effettuato figure al di fuori dei limiti prefissati: se si aggiunge che in gara si sopporta usualmente 1g più che nel normale allenamento ci si rende facilmente conto che si passa impercettibilmente dall'acrobazia aerea alla roulette russa.

L'A.F.V.A. (Associazione Francese di Acrobazia Aerea, N.d.T.) ha quindi correttamente reagito limitando, a partire dal 1980, la partecipazione dei biposti da addestramento acrobatico alle competizioni che non superano un K di 400.

Dunque, come tentare di risolvere l'angoscioso problema degli aeroplani che si schiantano in volo? a mio avviso in tre modi:

• Con un'informazione completa di tutti i piloti acrobatici sui limiti esatti del loro velivolo (diagramma di manovra);

• Con una seria formazione a doppio comando e con voli a solo controllati, indirizzando verso un pilotaggio cosciente, ragionato, basato sul rispetto rigoroso dei parametri velocità ed accelerazione, per evitar di vedere gente che maltratta brutalmente la meccanica. A livello agonistico, è urgente orientarsi verso una severa penalizzazione dei piloti che superano i limiti d'inviluppo, favorendo nel contempo i piloti che volano in scioltezza, cosa che non danneggia affatto l'estetica delle figure, come dimostrano quotidianamente i nostri migliori piloti acrobatici;

• Ammettendo, poichè l'errore è umano, che malgrado tutte le precauzioni ci sarà qualcuno che supererà accidentalmente, e non più coscientemente, il limite del velivolo: occorre quindi trovare assolutamente un metodo di verifica e controllo dei velivoli in tali corcostanze.

Per quanto riguarda il CAP-10, che costituisce la grande maggioranza dei velivoli acrobatici attualmente in uso, il metodo non è di semplice individuazione: la soluzione adottata finora, che consiste nell'ispezione del rivestimento del bordo d'entrata alare, si rivela alla prova dei fatti insufficiente ed inefficace in alcuni casi (vedi l'incidente di Chateau-Thierry): una soluzione a questo problema è allo studio e dovrebbe vedere la luce ben presto.


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