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Psicosi CAP-10

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PSICOSI CAP-10
Di Bernard Chabbert (Da "Pilote Privé", Dicembre 1979)

Bertrand Hasler rievoca l'incidente di Chateau-Thierry da pilota professionista qual è (copilota di Airbus dell'Air France), abituato a porsi come prima regola di condotta la sicurezza.

La gente come lui non si trastulla con questo concetto: basta vedere come sono addestrati e controllati periodicamente, basta passare qualche ora in un centro di formazione a Orly od a Roissy per cominciare a saggiare realmente la profondità alla quale si spinge la ricerca della mitica "sicurezza totale".

Ho letto, ad esempio, che uno specialista dell'Air France su tre serve a controllare il lavoro degli altri due: questo è il prezzo che bisogna pagare perchè i velivoli siano sempre in perfette condizioni di efficienza.

Nel contempo, all'"Università" di Vilgenis, che è il centro di formazione degli equipaggi, la filosofia essenziale è che il fine ricercato è certamente l'effettuazione dei voli, ma prima di tutto il mantenimento da parte degli equipaggi della massima prestazione in campo della sicurezza del volo.

Quanto detto non sono parole vuote, ma un fatto: se l'aereo è arrivato ad essere il mezzo di trasporto rapido più sicuro, il merito è di questa vera ossessione, di questa occhiuta sorveglianza del materiale di volo e degli equipaggi.


Noialtri, con i nostri aeroplanini, abbiamo spesso la tendenza a considerarci come se vivessimo e volassimo in un mondo differente da quello dei "grandi" o dei militari (i quali pure spendono ingenti somme per addestrare e manutenere bene il loro materiale tecnico ed umano).

E' tuttavia un errore pensare così, poichè un ala di CAP-10 che si separa dal velivolo od un motore di DC-10 che esplode tranciando tutti e tre i circuiti idraulici, rendendo dunque il velivolo incontrollabile, sono la stessa cosa: l'unica differenza è il numero delle vittime, ma io riesco facilmente ad immaginare che l'orrore provato dai piloti nei due cockpits, negli ultimi secondi che precedevano lo schianto e la fine, era estremamente simile.

Personalmente, io non sono tentato da una fine di questo genere e niente può convincermi a prendere certi rischi ciecamente: è chiaro infatti che decollare comporta come corollario il rischio di terminare il volo rompendosi il muso, ma penso che tutti i piloti attribuiscano lucidamente seppure implicitamente questo ad un rischio accidentale, mettendo in opera tutte le precauzioni necessarie a rendere l'eventualità la più tenue possibile.

Si può quindi porre la questione in questi termini: andreste in volo con un velivolo del quale non è possibile definire lo stato di conservazione ed efficienza? Questa è evidentemente una domanda grave, carica di molteplici ripercussioni.

Mi è venuta alla mente nel modo seguente, assai semplice: si dà il caso che io avessi preso la decisione, a fine maggio, di riprendere l'attività acrobatica, ovviamente a Chateau-Thierry: questo per molte ragioni, fra le quali il fatto che il materiale a disposizione (CAP-10 e CAP-20L) era più che lindo, addirittura immacolato, tanto da sembrare nuovo. Inoltre, la mia conoscenza delle Officine Mudry e della gente che vi lavora rafforzava questo sentimento di sicurezza riguardo ai velivoli.

Seconda ragione era la personalità degli istruttori (Hasler ed Heu), entrambi piloti di linea dell'ultima generazione, dunque formati dalla più tenera età a quell'ossessione per la sicurezza e, allo stesso tempo, dotati di una grinta di acrobati inattaccabile: in breve, un eccellente miscela di ragione e passione, di gente capace di picchiar duro senza però "tirare" troppo.


Poco dopo avvenne l'incidente: io mi trovavo alle Antille in compagnia di un altro pilota acrobatico di Chateau-Thierry che si pose le mie stesse domande. Rientrando in patria ed incontrando Hasler, che era tato l'istruttore del pilota caduto, avevamo confrontato le nostre impressioni e non avevamo potuto altro che constatare dei comportamenti personali simili.

Sia qui ben chiaro che io sono solo un utilizzatore di aeroplani, non un tecnico, ed è dunque possibile che io dica delle bestialità sul piano della pura tecnologia: tuttavia per quanto mi riguarda io non volo e non volerò mai più su un CAP-10 di club, finchè le conclusioni dell'inchiesta di Chateau-Thierry non saranno state pubblicate. Insisto sul "di club", poichè non penso assolutamente che il CAP-10 sia un aereo pericoloso.

Al contrario, io penso che il CAP-10 sia un aereo estremamente affidabile e sicuro quando lascia la linea di montaggio di Mudry: questa è un'opinione che mi sono formato con molte ore di volo su questo aeroplano e grazie alle mie strette relazioni con la gente che lo costruisce. Tuttavia, il velivolo arriva in un club e comincia un'esistenza che si può riassumere come segue.

Ogni ora di volo di CAP-10 è letteralmente zeppa di scossoni, di puntate ad elevato g uguali od eccedenti i limiti specificati nel manuale di volo (come ha dimostrato Jean-Marie Saget che aveva equipaggiato un CAP-10 con un registratore di g, con risultati impressionanti). Inoltre, quando il velivolo non subisce questi sforzi concentrati, che possono essere aggravati da un'eventuale turbolenza, vive in un regime di "medio g" ancora significativo.

Si presta sempre attenzione al g-metro con la coda dell'occhio, ma ci si dimentica che il resto del volo acrobatico si svolge almeno con 2 piccoli g applicati alla cellula.

Infine, essendo i voli acrobatici di breve durata, la cellula deve subire un numero di cicli (termine saccente per "voli") maggiore di un aereo da turismo, uguagliando in questo gli aerei da scuola che invecchiano già non male facendo giri del campo.

Il vantaggio del CAP-10 nel campo della resistenza strutturale è che è di legno, ed il legno non invecchia come il metallo: si piega, lavora, flette, ma torna alla sua forma originale senza accumulare fatica. Ora, se si passa il limite il legno si rompe, mentre il metallo incasserà deformandosi prima di spezzarsi.

Quindi, la cellula del CAP-10 ha tutte le garanzie di solidità e robustezza, tenuto conto della spaventosa vita operativa cui è soggeto un velivolo acrobatico, perfettamente paragonabile a quella di un aereo da caccia (che viene scartato a 1500 ore di volo) per quanto riguarda i carichi sopportati dalla struttura.

Il guaio è che il CAP-10 del club è pilotato in modo eterogeneo da gente con mano ineguale e dalla capacità anche assai diverse. Il guaio è che nulla può rivelare qualcosa sulla vita reale del velivolo (ah, se potesse parlare!), su di un tale che si accanisce su di esso con incoscienza o disconoscenza quando il pilota successivo lo tratterà come una giovane sposa, lavorando forse perfettamente.

Il guaio è che, se un pilota dai bicipiti erculei supera il g e spezza una soletta del longherone, indebolendo così l'ala e preparando la strada del cimitero per un prossimo pilota, nessuno ne saprà mai nulla, e qualcuno potrà avere la spiacevole sorpresa di perdere un'ala in volo.


Cos'è successo a Chateau-Thierry?

Un pilota effettua un'uscita "dura" da una vite e perde un'ala qualche istante più tardi uscendo da un'altra manovra a minor g. I testimoni affermano che il pilota aveva "tirato" vigorosamente per riprendere l'orizzontale dopo la vite e che allora l'aereo si è spezzato. E' possibile.

Ricordo di qualche incidente che metteva in dubbio la struttura dei CAP: l'incidente di Robert Dousson a bordo di un CAP-20 "pesante" dell'Armée de l'Air (posizionamento verticale troppo violento, stimato a 12 g, che causava la perdita completa del cassone del bordo d'attacco. Il pilota moriva perdendo il controllo del velivolo a causa della dissimmetria della velatura); l'incidente di un CAP-10 italiano (il pilota, in un colpo di follia, passava in rovescio mentre si trovava in volo di crociera e tirava un mezzo looping nel corso del quale il velivolo arrivava ben presto a quella decina di g che causava il distacco dell'intradosso) che portava ad identificare il rivestimento dell'ala come "fusibile di avvertimento" del fatto che una delle solette del longherone era rotta.

Dopo questi incidenti ci furono alcuni "fusibili" saltati, qualche rottura d'intradosso, qualche cricca ai castelli motore (CAP-20): in ogni caso, è certo ed innegabile che i velivoli non erano in causa e che la responsabilità era esclusivamente dei piloti.

Mettiamo tuttavia le cose in chiaro: il CAP-10 ed il CAP-20L sono dei velivoli così performanti in acrobazia che è assai facile portarli rapidamente vicini al limite di resistenza: essi non chiedono, maledetti, che di volare ancora di più e meglio, a condizione di prendere un mezzo g ancora qua e là, di tirare o spingere ancora un pochino. E, poichè grazie al cielo esiste un margine di sicurezza fra i g limite pubblicati e la rottura, la struttura tiene.

La verità è che i piloti finiscono per comportarsi come se i g pubblicati fossero lontani del carico di rottura, e questo è estremamente grave, perchè nessuno lo va a raccontare ai compagni che volano dopo e, allo stato attuale delle tecniche d'ispezione, l'inizio di rottura è perfettamente invisibile (il "fusibile" d'intradosso è, pare, perfettamente inoperante da quando è stata introdotta una modifica alla fabbricazione dell'ala).

Gli accelerometri montati a bordo attualmente non sono che degli ausili al pilotaggio e non dei bei baffoni che si rimettono a posto schiacciando un pulsante prima di ogni volo: perchè non montare un accelerometro fisso del quale rilevare i valori prima di ogni volo come si fa col contaore? Ciò che si fa per tenere i conti del club non può essere fatto anche per assicurare la vita dei piloti?

Ogni superamento del g limite dovrà allora essere sanzionato secondo modalità da definirsi in ogni club qualora si tratti di fatto accidentale, mentre ogni pilota che passa regolermente i 6g dovrà essere invitato ad andare a scassare altrove aeroplani suoi, e non di tutti, e ad ammazzarsi da solo, poichè se prende 6g ben presto ne prenderà 8. E l'aereo che avrà subito troppi g dovrà essere segnalato al costruttore, che darà il suo parere dopo averlo esaminato.


Non posso esimermi dal pensare che il CAP-10 di Chateau era forse danneggiato al longherone da prima dell'incidente e che questo avrebbe potuto capitare ad un altro, a me per esempio.
Il pilota sembra aver rotto l'aereo uscendo dalla vite e tirando troppo: ma quando Dousson tirò 12 g, il longherone tenne, il cassone no; quando l'italiano impazzì assieme all'I-BETA, riuscì poi ad atterrare.

Ho sentito in alcune discussioni che l'ala del CAP-10 è di una solidità fenomenale e difficilmente riesco ad immaginare, forse a torto, un pilota debuttante che tira più di 10 g uscendo da una vite, anche se tira un pò più di quanto è solito fare.

Niente mi dice che non vi siano dei CAP-10 che non abbiano bisogno di un'occhiata al longherone: so bene che questo è di legno, che non si scassa così facilmente, ma so anche che una o due solette potrebbero essere scheggiate senza che nulla me lo possa far capire: e, se questo è ciò che è successo a Chateau, la rottura potrebbe essere avvenuta a carichi minori di quelli limite.
So che i responsabili non si trovano presso Mudry, che fabbrica un velivolo davvero eccellente e senza validi concorrenti al momento sul mercato mondiale: ma nei clubs, e dunque i responsabili siamo io e voi, che voliamo in acrobazia trovando tutto ciò assai normale (più si ha, più si vuole) e che avremmo potuto far passare l'incidente di Chateau-Thierry come un caso fortuito.

Per conto mio, attendo i risultati ufficiali dell'inchiesta, e se lo stato della mia personale psicosi potrà avere effetti sulla rapidità della cosa, ne sarò ben contento, tanto più che scopro poco a poco di non essere il solo a pormi delle domande.


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